Francesco quando l’ho conosciuto aveva circa 45 anni ed era in sedia a rotelle per via della sclerosi multipla. Era un tipo alla mano che ripeteva di continuo le stesse battute e noi obiettori gli sorridevamo con eccessivo e simulato divertimento.
Ci vedevamo due volte a settimana quando passavo a prenderlo col furgone per portarlo a fisioterapia. Nei furgoni ci caricavamo quattro o cinque persone alla volta, quasi tutte in sedia a rotelle, quasi tutte malate di sclerosi multipla.
Quando ti ammali di un male così, o diventi un depresso aspirante suicida o, come Francesco, un simpatico burlone deciso a godersi gli scarti della vita, ma senza molte occasioni per rifarsi il parco battute.
Lui abitava al piano terra in una bella villetta di campagna ed era tra i più fortunati perché almeno poteva permettersi d’essere single. Altri invece avevano 3 piani di scale e un marito insofferente a pulirgli il culo.
Lucia arrivò qualche mese dopo. Camminava ancora, lentamente, aiutandosi con la stampella. Aveva circa 40 anni, un viso bellissimo, occhi azzurri capelli castani, e sotto ai pesi della malattia si vedevano ancora le curve di una gran bella donna.
Raccontava senza vergogna che il marito dopo aver letto il referto aveva fatto le valigie ed era partito a caccia di carne fresca.
Una mattina arrivai a casa di Francesco. Non rispondeva al campanello ma non era una cosa insolita, come non era insolito che lasciasse la porta socchiusa.
Entrai in casa – Francesco? – facendomi sentire – Ci sei?
Il tavolo della cucina era una fottuta distesa di lattine di birra vuote, malamente accartocciate, e sul pavimento patatine salatini tovaglioli un po’ dappertutto. Ebbravo Francesco.
Sono qui! vieni per favore!
La sua voce, dalla camera da letto.
Entrai con discrezione e vidi Lucia che dormiva avvolta nelle coperte e lui nudo, sul pavimento, che provava goffamente a infilarsi le mutande in evidente imbarazzo.
Doveva aver saltato qualche passaggio dal letto alla carrozzina.
Risi di gusto e lo aiutai a risistemarsi.
L’episodio finì non so come sulle bocche di tutti, alcune delle quali non baciavano un pisello da troppo tempo per poter dire cose sensate al riguardo. Me ne disinteressai e ne trassi piuttosto qualche lezione di vita.
La scorsa settimana ho saputo che erano morti. Loro, e molti altri tra quelli che caricavo in furgone.
Ma alcuni, prima di morire, avevano anche vissuto.